Pancia gonfia, crampi, stitichezza o al contrario dissenteria: sono i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile, un disturbo poco diagnosticato che può incidere sulla qualità della vita. Per risolverlo, la migliore cura è cambiare la propria alimentazione.
Spesso sono etichettati come malati immaginari, eppure hanno la pancia così gonfia che a volte i vestiti non si allacciano, soffrono di dolori e crampi capaci di piegarli in due e vivono giorni in cui riuscire ad andare in bagno sembra un miraggio e altri nei quali sembra impossibile farne a meno. Sono il 10-15 per cento degli italiani, con una netta prevalenza di donne attorno ai 40 anni, a soffrire di sindrome dell’intestino irritabile, disturbo complesso che può compromettere la qualità della vita.
La sindrome dell’intestino irritabile è costituita da un quadro complesso di disturbi legati all’alterazione cronica delle funzioni motorie, della sensibilità e dei mediatori chimici e ormonali dell’intestino tenue e del colon. Si parla, però, di questo problema anche come di un disturbo dell’asse cerebro-intestinale perché le attività intestinali che risultano alterate sono regolate dal sistema nervoso enterico attraverso i numerosi recettori neurovegetativi presenti sulle pareti intestinali: è una sorta di secondo cervello continuamente in comunicazione con il primo. Se questi recettori sono irritabili, cioè rispondono in maniera eccessiva a sollecitazioni anche naturali (alimenti, cambiamenti ormonali, ansia), si scatenano gonfiore, dolore addominale e alterazioni dell’alvo, cioè stitichezza o diarrea.

LE CAUSE NON SONO ANCORA CHIARE

Difficile dire che cosa sia all’origine dell’irritabilità dei recettori nervosi presenti nell’intestino. Studi condotti negli ultimi decenni dall’Università di Bologna hanno dimostrato come in circa il 30.35 per cento dei casi il colon irritabile si manifesti in soggetti colpiti in passato da infezioni intestinali, come quelle da salmonella. Non possiamo però escludere una predisposizione genetica, visto che molto spesso in una stessa famiglia sono presenti più casi, e anche una componente psicosomatica, cioè il verificarsi di eventi psicologici stressanti, in virtù anche della reciproca influenza tra il sistema nervoso enterico e il cervello. A questi fattori vanno aggiunti quelli che possono contribuire a peggiorare i sintomi. È il caso degli ormoni, soprattutto nelle donne: molte, infatti, hanno un peggioramento dei disturbi in concomitanza di dolori mestruali.

DOLORE E GONFIORE ADDOMINALI

Il quadro con cui si manifesta la sindrome dell’intestino irritabile può variare molto da caso a caso, ma ci sono dei sintomi caratteristici, come dolore o fastidio addominale, che si attenua generalmente con la defecazione, gonfiore e alterazioni dell’alvo. Alcune persone possono avere prevalentemente diarrea oppure soffrire in maniera preponderante di stipsi o, ancora, alternare periodi in cui prevale il primo sintomo ad altri in cui soffrono principalmente del secondo. A queste manifestazioni tipiche possono poi associarsi altri fastidi, come muco bianco-giallastro nelle feci o la sensazione di peso e non completo svuotamento dopo essere andati in bagno. Le manifestazioni possono essere sfumate per alcune persone, più intense per altre e possono cambiare nel tempo.

SPESSO BASTA UNA BUONA ANAMNESI

Non esiste un esame per diagnosticare la sindrome dell’intestino irritabile, ma allo stesso modo è sbagliato dire che si arriva alla diagnosi per esclusione di altre malattie. Il medico, con una buona anamnesi, cioè ascoltando attentamente il paziente, prendendo nota dei sintomi e della storia clinica, può stabilire correttamente se ha di fronte un caso di intestino irritabile. In particolare, ci si basa sui criteri di Roma III, che prevedono sia presente, per una diagnosi della sindrome, un dolore addominale da almeno tre mesi che diminuisce con la defecazione e un aumento o una diminuzione della frequenza e della consistenza delle feci. Durante la visita il medico valuta anche la presenza di specifici segnali, chiamati “bandiere rosse”, come sanguinamento dal retto, dimagrimento rapido e inspiegabile, febbre, familiarità per malattie tumorali o infiammatorie intestinali, anemia e la comparsa di disturbi dopo i 50 anni: Questi sintomi non sono presenti nella sindrome dell’intestino irritabile e, se rilevati, devono far pensare ad altre malattie più serie che richiederanno ulteriori accertamenti, come una colonscopia.

ESAME DEL SANGUE E DELLE FECI

Oltre il 40 per cento delle colonscopie eseguite in Italia è inutile e in gran parte sono proprio quelle prescritte in relazione alla sindrome dell’intestino irritabile in assenza di “bandiere rosse”. Se non ci sono campanelli di allarme e i sintomi sono sovrapponibili a quelli dell’intestino irritabile, ma con variabili che possono suscitare dubbi (per esempio una diarrea abbondante notturna), il gastroenterologo può prescrivere altri esami. Si tratta solo di un esame del sangue e delle feci, per escludere malattie che possono avere sintomi sovrapponibili. Nel sangue si ricercano quegli anticorpi che suggeriscono una possibile celiachia, mentre nelle feci si dosa la calprotectina, proteina la cui presenza ad alti livelli può segnalare malattie infiammatorie croniche intestinali come il Morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa.

NIENTE PANE, CAFFÈ E INSACCATI

Il primo passo per gestire al meglio la sindrome dell’intestino irritabile è cercare di seguire una corretta alimentazione, modificando le abitudini alimentari, mangiando a orari regolari e senza fretta e soprattutto limitando quei cibi che possono scatenare e peggiorare i disturbi. Gli alimenti in questione non sono gli stessi per tutti, quindi è necessario analizzare quelli assunti regolarmente per poi procedere a un lavoro di inserimento o esclusione dalla dieta, in modo da rilevare i prodotti effettivamente causa di reazioni e, nel caso, eliminarli. La regola sempre valida è di segnare su un’agenda per 15 giorni tutto quello che si mangia e quando vengono le crisi. Per arrivare a una definizione di dieta equilibrata si può iniziare a escludere i cibi che hanno un effetto negativo per tutti, cioè quelli che richiedono tempi più lunghi di digestione, e quelli che aumentano lo stato di infiammazione all’intestino. Per dare un’idea, rappresentano una minaccia i cibi con il lievito: pane, brioche, merendine e biscotti. Vanno evitate anche tutte quelle sostanze eccitanti come caffè, tè, bevande a base di cola, cioccolato. Vanno esclusi anche i formaggi stagionati, le carni molto grasse, gli insaccati, i frutti di mare e le spezie. Attenzione anche agli alimenti che possono aggravare i sintomi perché producono gas. In particolare, limitare legumi, patate e melanzane, perché possono aumentare il meteorismo e, per la stessa ragione, le castagne. Altre verdure che possono scatenare problemi sono le cipolle, il sedano, le carote, i cavoli e i cavoletti di Bruxelles, gli spinaci e i carciofi. Nell’elenco dei cibi da usare con moderazione o da escludere ci sono anche le albicocche, le banane, le prugne, le pere e le pesche. Non bisogna poi scordarsi di bere acqua minerale naturale: un litro tra le 9 e le 12, a piccolissimi sorsi, e un altro tra le 15 e le 18.

CICLI DI FARMACI CONTRO I SINTOMI

Se la modifica della dieta non basta, il medico può prescrivere alcuni farmaci, prevalentemente mirati a contrastare i vari sintomi. In presenza di diarrea, si possono assumere probiotici, che aiutano a regolare la flora batterica intestinale, ed eventualmente antidiarroici, a base per esempio di loperamide, e se si sospetta una base infettiva, antibiotici come la rifaximina. Contro tensione e gonfiore possono essere utili integratori a base di estratti e/o oli essenziali di piante carminativo, come finocchio, anice stellato e cannella, argilla verde. Per i dolori sono indicati gli antispastici, come mebeverma e otilonio bromuro, mentre per stitichezza e gonfiore fibre solubili (psyllium, glucomannano) e lassativi osmotici (come il macrogol), entrambi da prendere con molta acqua. Nei casi più impegnativi, miglioramenti si hanno anche con farmaci antidepressivi, in particolare i serotoninergici e i triciclici. Ogni farmaco va assunto su indicazione del medico e per periodi limitati, in genere uno o due mesi, per tornare a riprenderli all’eventuale ripresentarsi delle manifestazioni.

ABCDizionario

CELIACHIA: malattia infiammatoria cronica dell’intestino tenue, con atrofia dei villi intestinali causata da una intolleranza permanente al glutine.

SISTEMA NERVOSO ENTERICO: una delle tre branche del sistema nervoso autonomo, assieme al sistema parasimpatico e simpatico, che governa le funzioni fondamentali dell’apparato digerente.

MORBO DI CROHN: malattia infiammatoria eronica intestinale caratterizzata da ulcere, spesso alternate a tratti di intestino sano che, se non tratate, possono causare restringimenti dell’intestino o approfondirsi fino a raggiungere gli organi vicini.

RETTOCOLITE ULCEROSA: malattia infiammatoria cronica che coinvolge l’intestino crasso: colpisce in genere prima il retto ma può estendersi a parte o a tutto,  provocando lesioni ulcerose.