Si tratta di un minerale fondamentale per la nostra salute, ma solo se presente nella giusta quantità: una sua carenza o ,al contrario, un suo eccesso nel sangue sono ugualmente dannosi e possono avere conseguenze serie se non si interviene tempestivamente.
Un portiere inflessibile che decide quanto ferro deve entrare e quanto uscire e la cui guardiola si trova nel fegato. Si potrebbe spiegare con questa metafora il sistema che regola il ferro all’interno dell’organismo, un sistema fondamentale perché ha il compito di assicurare una quantità di questa sostanza sufficiente a garantire il fabbisogno dei diversi tessuti del nostro corpo. E se a livello cellulare c’è una quota di ferro che non viene utilizzata, questa viene immagazzinata all’interno di una proteina, la ferritina, una sorta di scatola dove il ferro viene riposto quando non serve, ma da dove può essere richiamato in caso di necessità. Questo stratagemma è reso necessario dal fatto che il ferro libero, ovvero non legato ad alcuna struttura, si ossida proprio come fa il metallo esposto all’aria e diventa tossico. Il sistema di regolazione cellulare si interfaccia con un sistema più vasto che regola la quantità di ferro presente in tutto il corpo e stabilisce in ogni istante quanto assorbirne dagli alimenti e quanto rilasciarne o prelevarne dai depositi. Il regista di questo sistema di regolazione generale è il fegato. Se questo meccanismo s’inceppa, possono verificarsi un deficit di ferro o al contrario un suo sovraccarico nell’organismo, situazioni che se trascurate sono in grado di creare seri problemi.

Carenza di ferro e stanchezza
Nel caso in cui il ferro sia carente, l’attività metabolica cellulare si riduce e cellule e tessuti vanno in sofferenza. In particolare, si verifica una riduzione nella produzione dei globuli rossi e dell’emoglobina, dando luogo alla cosiddetta anemia sideropenica (dal latino sideros-ferro e penìacarenza). L’immissione di ferro nell’organismo per via alimentare e il riciclo del ferro già presente è un sistema di tipo inibitorio. Ciò significa che la porta d’ingresso del ferro alimentare è quasi completamente chiusa. In condizioni normali assorbiamo il 7-10 per cento del ferro presente nei cibi, il resto viene eliminato, come se l’organismo si preoccupasse di non farne entrare troppo. Per questa ragione l’essere umano è più esposto a sviluppare uno stato di carenza di ferro che l’opposto. I sintomi di un’anemia da carenza di ferro sono stanchezza con perdita di energia, caduta dei capelli, gengive sanguinanti o infiammate, unghie fragili, irritabilità, mal di testa, pallore.

Anemia carenza di ferro nelle donne
L’anemia da carenza di ferro è uno dei deficit più frequenti nella popolazione in generale, ma alcune categorie di persone sono più a rischio di svilupparla. Fino al 10 per cento delle donne in età fertile, per esempio, va incontro a questo problema a causa di flussi mestruali lunghi e abbondanti che contribuiscono ad aumentare le perdite di ferro che già si verificano durante il ciclo. È poi carente di ferro la metà delle donne nel terzo trimestre di gravidanza. Le future mamme, infatti, cedono il loro ferro al feto soprattutto nella seconda metà della gestazione, cioè quando l’accrescimento del bambino è maggiore. Anche negli uomini oltre i 60 anni e nelle donne in menopausa, la sideropenia è quasi sempre provocata da emorragie, ma a carico dello stomaco e dell’intestino a causa di ulcere, polipi, diverticoli, ernia fatale o malattie infiammatorie che provocano una fuoriuscita di sangue.

Ferro e alimentazione: attenzione alla dieta
Particolare attenzione deve poi prestarla chi segue una dieta che esclude totalmente alcuni gruppi di alimenti, come per esempio quella vegana. Il ferro presente negli alimenti, infatti, si distingue in ferro eme, presente soprattutto in carne e pesce, immediatamente assorbibile, e ferro non eme, di cui sono ricchi soprattutto i vegetali. Quest’ultimo, non essendo biodisponibile, per essere assimilato deve essere abbinato ad altre sostanze. Ciò significa che chi segue un’alimentazione vegetariana è destinato alla sideropenia. Infine, corrono il rischio di diventare anemiche le persone che soffrono di celiachia, un’intolleranza al glutine che tra l’altro provoca un ridotto assorbimento intestinale di ferro. Il mancato assorbimento dipende dalla lesione della mucosa intestinale provocata dagli alimenti ricchi di glutine, cioè pasta, pane, biscotti,pizza, proprio a livello del duodeno e del digiuno, dove avviene gran parte dell’assorbimento del minerale.

Ferro compresse
Una volta che l’anemia è stata diagnosticata, è necessario procedere con la reintegrazione del ferro mediante la somministrazione di farmaci per bocca. Il ferro più efficace è il ferro solfato, al dosaggio di una compressa al giorno a digiuno da uno a tre mesi. Ma il problema è proprio questo: in quasi un caso su quattro, durante la terapia si verificano eventi avversi di tipo gastrointestinale, come mal di stomaco, nausea, sapore di ferro in bocca, stipsi o diarrea e talvolta prurito ed eruzioni cutanee, che portano spesso ad abbandonare la cura. Si prova allora con almeno un altro tipo di ferro per bocca, ma se non viene tollerato il medico può valutare un trattamento per via endovenosa, da eseguire in ospedale, con una frequenza che varia in funzione del fabbisogno e del tipo di preparato che si utilizza.

Eccesso di ferro nel sangue cosa comporta
Che cosa succede, invece, nell’organismo quando si verifica un accumulo di ferro? Se il ferro libero è rilasciato all’interno di una cellula determina dei fenomeni di ossidazione. Per questo normalmente il ferro non è mai solo, ma sempre inserito in proteine più o meno complesse. Ci sono situazioni, però, in cui il sistema di regolazione non funziona correttamente e fa entrare nell’organismo più ferro del necessario. A causare il sovraccarico possono essere ripetute trasfusioni di sangue effettuate per varie patologie e comunque indispensabili per la sopravvivenza del malato oppure una malattia genetica, l’emocromatosi, caratterizzata da un cattivo funzionamento del metabolismo del ferro. In pratica, questa sostanza continua a essere assorbita, indipendentemente dalle reali necessità del corpo e quindi le quantità in eccesso tendono a depositarsi in diversi organi. Le forme più gravi, ma anche più rare, compaiono fin dall’adolescenza (emocromatosi giovanile). L’emocromatosi HFE (il nome del gene alterato), la più comune, si manifesta invece dopo i 40-50 anni ed è caratterizzata da un’enorme variabilità: persone con lo stesso quadro genetico possono non avere alcun sintomo o sviluppare gravi patologie.

Eccesso di ferro nel fegato
L’accumulo di ferro inizialmente va a saturare la proteina che trasporta il ferro nel sangue, la transferrina, dopodiché viene ceduto al primo organo che incontra, che è il fegato. Se la patologia è sufficientemente grave, le cellule non riescono più a immagazzinare il ferro nella ferritina, così questo rimane al loro interno come ferro libero, ossidandole e danneggiandole. Nel fegato tutto ciò conduce alla fibrosi, che può degenerare in cirrosi ed eventualmente in tumore. In un secondo momento, il ferro può accumularsi in altri organi: cuore, pancreas, tessuti articolari, ipofisi. I sintomi vanno da problemi all’apparato riproduttivo fino alla sterilità; scompenso cardiaco se è coinvolto il cuore; diabete nel caso del pancreas e, se sono danneggiate le articolazioni, dolori simili a quelli reumatici. Fortunatamente, grazie alla maggiore conoscenza di questa malattia e a una corretta diagnosi che comprende anche i test genetici, è un quadro oggi sempre più raro. È importante però che la patologia venga individuata precocemente e trattata prima che si sviluppino danni. Solo così la persona può condurre una vita normale.

Ferro esami del sangue
I sintomi precoci dell’emocromatosi sono però spesso inesistenti o generici, come la stanchezza. L’unico modo è eseguire un esame del sangue per conoscere il livello del ferro (sideremia) e del suo trasportatore (transferrina) e calcolare la percentuale di saturazione della ferritina. il superamento dei valori di riferimento per la ferritina può però essere dovuto anche a cause non legate all’emocromatosi e spesso nemmeno associate a un significativo accumulo di ferro: infiammazioni varie, problemi al fegato o alla tiroide, diabete, colesterolo e trigliceridi alti. Perciò, per avere la conferma di emocromatosi si ricorre all’analisi genetica del Dna, che consiste in un prelievo di sangue. Qualora lo specialista lo ritenga necessario, richiede anche la biopsia del fegato che consente di accertare la presenza del sovraccarico di ferro e di evidenziare se il tessuto è stato danneggiato.

Salassi o farmaci chelanti
La cura di elezione è la salassoterapia. Una volta alla settimana circa i malati vengono sottoposti a prelievi di circa 400 cc di sangue, fino a quando i valori del l’erro non ritornano nella norma. Prelevando il sangue, infatti, si costringe il midollo osseo a produrre nuovi globuli rossi, che utilizzano il ferro disponibile e quindi ne riducono gli accumuli. Una volta riportati alla normalità i depositi di ferro, il malato viene inserito in un regime di mantenimento che può richiedere da 2 a 10 salassi all’anno. Nelle persone che, per vari motivi, hanno la necessità di essere trasfuse e quindi non possono sottoporsi ai salassi. Si ricorre a farmaci denominati chetanti del ferro per via sottocutanea oppure, più spesso, per bocca, che favoriscono appunto l’eliminazione del ferro in eccesso.

Carenza di ferro: cosa mangiare
Chi è predisposto a carenze di ferro deve ridurre il più possibile l’assunzione di tè e caffè, perché contengono alcune sostanze, i tannini, in grado di diminuirne l’assorbimento. Al contrario, l’assimilazione del ferro è influenzata positivamente dagli alimenti ricchi di vitamina C, come i peperoni e gli agrumi. Assorbiamo solo il 5 per cento di ferro contenuto nei cereali e nelle verdure, matale percentuale aumenta se li associamo all’acido citrico contenuto nel limone e all’acido ascorbico contenuto negli agrumi. Ecco allora che la bistecca condita con succo di limone diventa un’ottima fonte di ferro soprattutto se il limone viene aggiunto a cottura ultimata, così come la spremuta d’arancia durante il pasto o la frutta a sua conclusione. Anche la verdura condita con succo di limone assicura un ottimo approvvigionamento del minerale.
I malati di emocromatosi invece dovrebbero preferire la carne bianca a quella rossa (quest’ultima infatti assorbe una gran quantità di ferro), evitando di associarla a frutti acidi come kiwi, limoni e arance e optare per le verdure non a foglia larga, meno ricche di ferro. Se piace, l’ideale è accompagnare le pietanze con una tazza di tè, che aiuta a inibire l’assorbimento del minerale.

ABC Dizionario
Diverticoli: estroflessione di un tratto delle pareti interne di organi cavi, come per esempio l’intestino.
Fibrosi: processo che consiste nella deposizione di tessuto connettivo e nella conseguente comparsa di cicatrici in un organo.
Midollo osseo: sostanza contenuta nelle ossa che ha il compito di formare nuove cellule sanguigne in sostituzione di quelle che si distruggono.

I sintomi precoci di un accumulo di ferro sono spesso inesistenti o generici,come la stanchezza. Per rilevare una eventuale carenza di ferro o al contrario un suo accumulo, è sufficiente eseguire alcuni esami del sangue:

Emocromo completo
Comprende la conta dei globuli rossi e bianchi, delle piastrine, indica la concentrazione di emoglobina e il volume corpuscolare medio dei globuli rossi. È indispensabile per individuare il tipo di anemia. Per l’emoglobina (Hgb) sono valori normali quelli tra 14-18 g/100 ml per gli uomini e 12-16 g/100 ml per le donne.

Sideremia
È il ferro circolante nel sangue veicolato dalla transferrina. Valori tra 50-170 mcg /dl nell’uomo e tra 60-180 mcg/di per la donna sono considerati nella norma.

Transferrinemia
Rileva la concentrazione di transferrina nel sangue, la proteina che trasporta il ferro dall’intestino ai tessuti. Valori normali sono compresi tra i 240 e i 360 mg/dl.

Sangue occulto nelle feci
È indice di emorragie a livello intestinale o dello stomaco.

Saturazione della transferrina
Indica quanta transferrina è legata al ferro e quanta è ancora disponibile a legare il ferro. È espressa in percentuale: se è inferiore al 20 per cento si può sospettare una carenza di ferro, se è superiore del 50 per cento si è in presenza di un accumulo di ferro.

Ferritinemia
Indica il ferro presente a livello del fegato, cioè la riserva del ferro nei depositi. Valori normali sono nell’uomo 20-300 mcg/L, nelle donne 20-120 mcg/L.