In Italia il 35% della spesa alimentare è destinato alla ristorazione fuori casa. Si mangia cibo lavorato industrialmente, raffinato, concentrato, dolcificato, salato ed elaborato chimicamente per produrre sapori intensi, cibi ricchi di calorie e poveri di nutrienti. Il bestiame è ingrassato «in batteria» senza potersi muovere, imbottito di antibiotici e ormoni della crescita. Risultato: animali più grossi e bistecche più gustose, con il doppio di grassi della carne di animali allevati al pascolo. Ma questo «progresso» comincia a costare molto caro. Mentre mangiamo per vivere, in realtà quello che mangiamo ci sta uccidendo.

Questo significa che il cibo può essere causa di malattia?

Le statistiche sono chiare: nel 1900 solo il 10-15% della popolazione moriva per malattie cardiache (soprattutto reumatiche) e ictus. Oggi queste malattie causano il 45% delle morti. Nel passato,meno del 6% della popolazione moriva di cancro, mentre oggi si supera il 25%. Non è secondo natura che così tanta gente muoia di infarto, ictus, diabete e cancro di polmone, mammella, prostata e colon. Le malattie cardiovascolari cominciano ad aumentare dopo la prima guerra mondiale, e dilagano a partire dal secondo dopoguerra, con il passaggio a diete sempre più ricche di prodotti animali e con un’industria alimentare che inizia a produrre cibi molto lavorati, concentrati di calorie senza nutrienti.

Potrebbe trattarsi di una coincidenza?

Improbabile, perché è un problema peculiare delle società occidentali. Nelle zone rurali di Cina e Sudest asiatico, dove si consumano pochi cibi ricchi, l’infarto è raro, così come in Africa rurale e nel Centro e Sudamerica il rischio di diabete e malattie cardiovascolari è basso. Al contrario, in Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e nei paesi ricchi dell’Europa e dell’Asia, dove l’alimentazione è ricca di grassi e colesterolo, le malattie cardiache e il diabete sono diventate un’epidemia.